Amazon compra 83 lanci per la sua costellazione Kuiper
Quello annunciato martedì è il più grande acquisto di servizi di lancio di sempre. E potenzialmente anche del prossimo quinquennio. Amazon ha infatti comprato ben 83 lanci da tutte le aziende occidentali con a catalogo grandi lanciatori. Ad eccezione della SpaceX. I futuri lanci spetteranno all’europea Arianespace e alle americane United Launch Alliance (ULA) e Blue Origin. E nei prossimi cinque anni dovranno rispettivamente occuparsi di 18, 38 e 12 (più altri eventuali 15) missioni. Ovviamente un contratto di tale portata comporterebbe numerose conseguenze (positive) a cascata per un intero settore commerciale, mentre, nella realtà di questo preciso caso, si è trasformato nella più grande scommessa degli anni ’20. O almeno della sua prima metà.
Project Kuiper è stato annunciato per la prima volta tre anni fa esatti, quando Jeff Bezos era ancora saldamente al comando di Amazon. A giugno 2020 ha ottenuto la licenza dalla Commissione federale per le comunicazioni (FCC) per operare 3236 satelliti, con la condizionale che entro luglio 2026 ne sia in orbita più della metà. Una deadline di un certo spessore. Per fare alcuni paragoni, SpaceX ha impiegato 2 anni a raggiungere quota ~1600, con un lanciatore, il Falcon9, rodato da 11 anni di attività e a pieno regime di riutilizzo; OneWeb, utilizzando il più longevo lanciatore della storia, il Soyuz, in 2 anni ha raggiunto circa un quarto della cifra (422). Certamente vanno considerati i diversi ingombri dei satelliti e la diversa capacità dei lanciatori. Ma anche se si considerano i 4 anni a disposizione di Amazon, non la si può definire una passeggiata.
E qui si inizia con le complicazioni (quelle vere). Andiamo con ordine per contratto.
Arianespace
Arianespace nell’ultima decade è stata in grado di firmare numerosi contratti, forte della propria affidabilità e di un’attenzione alle possibilità commerciali dei servizi di lancio che molti nel mondo hanno tardato a cogliere. Tuttavia le sue difficoltà sono iniziate proprio nella cuspide del cambio generazionale dei propri lanciatori. Con un manifesto lanci solidissimo e nutrito, tutto ciò di cui l’azienda europea aveva bisogno era costanza e un ritmo in crescendo nella produzione dei propri veicoli.
Ma sono arrivati i due fallimenti del Vega, il Covid e le eccessive vibrazione dei fairing prodotti da Beyond Gravity (allora RUAG) per gli Ariane 5. Tutte le operazione dei lanciatori europei sono state rallentate, portando anche ulteriori ritardi negli sviluppi di Ariane 6 e Vega-C. In tutto questo trambusto i Soyuz, sia operati direttamente da Kourou, sia tramite la Starsem da Baikonur o Vostochny, hanno svolto un egregio lavoro occupandosi dei numerosi lanci per la costellazione OneWeb. Con l’invasione russa all’Ucraina e la chiusura dei rapporti con la Roscosmos, però, Arianespace si è trovata nella scomoda posizione di dover trovare una destinazione a tutti i carichi che erano destinati a volare sulla controparte russa. Non solo i satelliti di OneWeb, quindi. E nell’impossibilità di poter offrire una soluzione rapida a quest’ultima, essa ha spostato i propri futuri lanci a bordo dei Falcon9 della SpaceX.
Negli ultimi mesi, Arianespace ha assicurato numerose volte che il volo inaugurale dell’Ariane 6 avverrà entro quest’anno. E anche volendo scommettere su un esordio nelle previsioni e totalmente nominale è difficile immaginarsi l’inizio delle operazioni per Amazon già a partire dal secondo lancio. Se consideriamo quindi metà contratto (9 lanci) entro giugno 2026, si tratta di circa 2-3 lanci all’anno, per 4 anni, dell’Ariane 64 (la versione più potente). Solo per la costellazione Kuiper. Arianespace dovrà tornare molto velocemente ai ritmi di produzione e lancio che erano la norma fino al 2018. E sperare che tutto fili liscio.
United Launch Alliance
ULA è un’azienda che storicamente si è occupata di carichi principalmente governativi, siano essi militari, scientifici o civili. E aggiungerei con enorme profitto ed eccellenti risultati. Tuttavia, a partire dalla seconda metà degli anni ’10, la sua cadenza è diminuita drasticamente. E anch’essa si trova sul confine del cambio generazionale dei propri lanciatori.
Gli Atlas V utilizzano i motori russi RD-180, che il governo statunitense ha deciso da qualche anno di smettere di acquistare. Attualmente ne restano a manifesto solo 24 lanci, tutti già prenotati. E 9 di questi sono già stati acquistati da Amazon per la propria costellazione un anno fa. Fortuna (e acume) ha voluto che l’azienda abbia spinto per ottenere tutti i motori necessari a questi ultimi lanci già verso la fine dell’anno scorso. Garantendosi così, nonostante la cessazione dei rapporti con la Russia, la possibilità di proseguire la propria attività senza alcun intoppo.
I motori però restano un componente spinoso nella storia dell’azienda. Per il vettore di nuova generazione, Vulcan, la ULA utilizzerà i motori BE-4 della Blue Origin. Due per ogni razzo. E proprio i motori sono il motivo principale del ritardo di questo nuovo lanciatore. Se le (ultime) promesse della Blue Origin saranno mantenute, i primi due motori operativi verranno consegnati quest’estate e la ULA prevede di effettuare il lancio inaugurale entro il 2022.
Con Vulcan, però, prevedono di entrare prepotentemente anche nel mercato commerciale. Ed effettivamente i primi due voli sono già prenotati. Anche in questo caso, quindi, l’inizio di lanci dei satelliti Kuiper si sposta a minimo il 2023. A vantaggio della ULA va notato che Amazon, da contratto, coprirà anche le spese per il raddoppio delle infrastrutture a terra. Un vantaggio enorme che, una volta implementate le modifiche, permetterà loro di preparare due Vulcan contemporaneamente. Con un notevolissimo guadagno anche per i contribuenti americani, che non dovranno pagare per aumentare l’efficienza di un fornitore dello stato. Si tratterà comunque di 4-5 lanci all’anno per completare 19 dei 38 lanci contrattualizzati entro il 2026.
Aggiornamento del 06-04-22: Tory Bruno, CEO della ULA, non solo ha confermato una importante espansione delle infrastrutture a terra, ma ha anche fatto intendere che per poter avere maggiori chance ti reggere la cadenza di lancio si tenterà il recupero ed il riutilizzo dei Vulcan. Una caratteristica finora solamente annunciata a voce e destinato ad un futuro non precisato. Questo contratto potrebbe quindi drasticamente cambiare il destino del vettore americano.
Blue Origin
Infine la Blue Origin. L'(altra) azienda di Jeff Bezos ha firmato un contratto da 12 lanci, più un’opzione per ulteriori 15. Ma la sua situazione operativa è probabilmente la più critica delle tre aziende coinvolte da Amazon. Innanzitutto Blue Origin non ha mai lanciato un carico orbitale. Attualmente sta iniziando il suo secondo anno di operazioni suborbitali turistiche con equipaggi a bordo. Ma i lanci orbitali sono tutt’altra storia.
Il New Glenn è un lanciatore molto più grande di qualunque altro concorrente. Notevolmente più grande anche del Falcon Heavy. Ed è, o quanto meno è progettato per essere riutilizzabile. Nonostante sia in sviluppo da molti anni non si ha ancora un quadro chiaro di quando effettivamente inizierà a volare. Secondo le ultime previsioni il suo lancio inaugurale dovrebbe avvenire alla fine del 2023, ma molti speculano che non se ne farà nulla prima del 2024.
Considerando che raramente i lanci inaugurali hanno dei satelliti veri a bordo, si dovrà attendere almeno il secondo volo. Anche augurandosi delle missioni nominali e senza problemi, non è scontato che un’azienda alla sua prima esperienza riesca a raggiungere una media di 2 lanci all’anno per 3 anni. Soprattutto con un progetto così complesso ed innovativo. E anche in questo caso, senza considerare altri clienti che abbiano già prenotato dei voli.
Dispenser e alternative
Finito tutto? Non proprio. Da un lato va precisato che tutte queste stime di lanci annuali sono meramente statistiche. Non abbiamo idea se tutte le aziende dovranno completare metà contratto entro il 2026, piuttosto di un impegno maggiore di una o più delle tre. A favore di una eventuale rotazione di emergenza, Beyond Gravity (precedentemente RUAG), ha già dichiarato che svilupperà un dispenser il più simile possibile per i tre lanciatori. Secondo le prime stime, l’Ariane 6 potrà trasportare tra i 35 e i 40 satelliti, il Vulcan 45 e il New Glenn 61. Con dei dispenser simili, se non addirittura modulari, si potrebbero rapidamente ridistribuire satelliti nel caso di un intoppo per una delle tre aziende.
Inoltre non è stata del tutto sconfessata la possibilità di un futuro contratto anche a SpaceX. Il “problema” di quest’ultima sta nel fatto di essere l’unica attuale possibilità commerciale di media-grande capacità al mondo. Con l’esclusione delle alternative russe, i ritardi dei vettori europei, la pressoché scomparsa dei lanciatori indiani post-Covid e l’impossibilità di utilizzare razzi cinesi, l’azienda di Elon Musk si è ritrovata con un monopolio “de-facto” del mercato. Nonostante avesse già in previsione 52 lanci per il 2022, ha anche alzato le stime a 60 con la presa in carico anche dei lanci per OneWeb. Nonostante una simile cadenza il suo backlog sembra infinito. Con un’eventuale entrata in attività delle Starship, le cose potrebbero però cambiare radicalmente. Solo il futuro ci dirà se qualcosa si concretizzerà su questo fronte.
Rallentamenti alla base
Paradossalmente, però, i servizi di lancio potrebbero non essere i veri colli di bottiglia di questo progetto. Va innanzitutto considerato che Amazon, da parte sua, dovrà produrre tutti i satelliti in tempo perché possano essere lanciati. E si parla di una media di 2-4 satelliti a giorno. Un ritmo che, per ora, solo SpaceX è riuscita a mantenere con i propri Starlink, e anche in questo caso, dopo anni di affinamento ed esperienza. E dovrà produrre anche i terminali che utilizzeranno gli utenti, vera spina nel fianco per la profittabilità di Starlink e che l’azienda di Elon Musk ha faticato a rendere abbastanza economici. Quanto meno da questo punto di vista, Amazon assicura di poter costruire i terminali per gli utenti a meno di 500$ (ad oggi, in Italia, l’antenna Starlink costa 644€).
In secondo luogo c’è la questione dei primi prototipi dei satelliti. Senza una vera esperienza alle spalle, Amazon dovrà mandare in orbita un paio di prototipi per testare le loro caratteristiche ed il loro hardware. Senza una validazione del progetto sul campo, il design dei satelliti non può dirsi definitivo, e quindi non si può procedere nemmeno ad allestire le linee produttive. Basta lanciare in orbita un paio di satelliti quindi? Sì, e a novembre 2021 è stato anche firmato un contratto con ABL Space Systems per i due lanci in questione. Per ironia della sorte, però, anche l’RS1 di ABL non ha ancora volato nemmeno una volta. E se il suo lancio inaugurale è previsto quest’anno, vanno comunque aggiunti tre mesi circa di ritardo a causa dell’esplosione di gennaio. Ergo, ulteriori ritardi per finalizzare il design della costellazione Kuiper.
La più grande scommessa del decennio (?)
Con questo, non proprio idilliaco, quadro della situazione possiamo tornare al tema della scommessa di inizio articolo. Se pensate che l’azzardo stia semplicemente nel far combaciare (e risolvere positivamente) tutte queste situazioni vi siete persi un punto fondamentale. Amazon non ha rivelato l’entità dei contratti con nessuna delle aziende sopracitate, ma si può facilmente intuire che si stiano investendo decine di miliardi di dollari. Questa gargantuesco investimento non porterà Amazon alla “vittoria” sul campo, ma solamente alla possibilità di sedersi al tavolo dove si sta giocando la partita vera.
Starlink e OneWeb sono già operative in gran parte del mondo ed hanno un vantaggio misurabile in anni nella fornitura di servizi ai loro clienti. E molte altre aziende si stanno muovendo nella stessa direzione di Amazon, con investimenti comunque importanti: Telesat, Astranis, AST SpaceMobile e Omnispace con Lockheed Martin sono solo alcuni dei nomi che remano nella stessa direzione. E se Amazon sta scommettendo così pesantemente sulle proprie chance di partecipare alla partita, Arianespace, ULA e Blue Origin stanno facendo un’altrettanto enorme scommessa sulla loro credibilità, in uno dei momenti meno floridi della loro storia.